ISLAM E INDUISMO: DUE RELIGIONI COMPLEMENTARI

Il concetto di complementarietà tra Islam e Induismo non è nuovo

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  1. kiccasinai
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    ISLAM E INDUISMO: DUE RELIGIONI COMPLEMENTARI





    Il concetto di complementarietà tra Islam e Induismo non è nuovo e trova il suo sostegno nell’insegnamento di Guénon. Questo insegnamento va al di là della semplice affermazione dell’unità trascendente delle religioni. L’argomento in questione è trattato nel suo articolo «I misteri della lettera Nûn» nel quale figurano le indicazioni seguenti:
    la lettera Nûn è considerata, soprattutto, nella tradizione islamica, come rappresentante di El-Hût, cioè della balena, ciò è in accordo con il senso originale del termine nûn stesso che la designa; il secondo significato è quello di pesce, ed è in ragione di esso che Seyidna Yûnus (il Profeta Giona) è chiamato Dhûn-Nûn. Quest’ultimo è naturalmente in rapporto con il simbolismo generale del pesce, (…) in particolar modo quello del «pesce-salvatore», che si tratti il Matsya-avatar della tradizione Hindu o l’Ichthus dei primi cristiani. (…) Adesso (…) la forma della lettera Nûn dà luogo a una nota importante dal punto di vista delle relazioni che esistono tra gli alfabeti delle differenti lingue tradizionali: nell’alfabeto sanscrito, la lettera corrispondente na, riconduce ai suoi elementi geometrici fondamentale, si compone ugualmente da una semicirconferenza e da un punto; ma qui la convessità essendo rivolta verso l’alto, è la metà superiore della circonferenza e non la sua metà inferiore come nel caso della Nûn araba. Si tratta, dunque, della stessa figura messa al contrario o per dirla più esattamente, sono due figure complementari; in effetti, se le si riunisce, i due punti centrali coincidono naturalmente, si ha il cerchio col punto centrale, figura del ciclo completo, che è allo stesso tempo il simbolo del Sole sia per l’astrologia che per l’alchimia.
    «Si potrebbe quindi dire che l’unione delle due figure in questione rappresenta il compimento del ciclo mediante la congiunzione del suo inizio e della sua fine, tanto più che, nel caso che siano riferite più particolarmente al simbolismo “solare”, la figura del na sanscrito corrisponde al Sole nascente e quella del Nûn arabo al Sole calante. D’altra parte, la figura circolare completa è abitualmente pure il simbolo del numero 10, dove 1 è il centro e 9 la circonferenza; ma qui, essendo ottenuta dall’unione di due Nûn, essa vale 2 X 50 = 100 = 102, il che indica come il congiungimento debba operarsi nel “mondo intermedio”; esso è infatti, impossibile nel mondo inferiore, ambito della divisione e della “separazione”, e, per contro, è sempre esistente nel mondo superiore, ove è realizzato principalmente in modo permanente e immutabile nell’eterno presente. A queste già lunghe osservazioni, aggiungeremo solo una parola per sottolineare il rapporto con una questione alla quale si è alluso di recente: quel che abbiamo detto nelle ultime osservazioni permette di intravedere che il compimento del ciclo, quale noi l’abbiamo considerato, deve avere una certa correlazione, nell’ordine storico, con l’incontro delle due forme tradizionali che corrispondono al suo inizio e alla sua fine, e che hanno rispettivamente come lingue sacre il sancito e l’arabo: la tradizione indù, in quanto rappresenta l’eredità più diretta della Tradizione primordiale, e la tradizione islamica, in quanto “sigillo della profezia” e, di conseguenza, forma ultima dell’ortodossia tradizionale per il ciclo attuale.»1
    Il numero 100 è riducibile anche ad 1 secondo le leggi della matematica. L’1 è l’unità o il Tahwîd, è il punto al centro della circonferenza dal quale s’irradiano gli infiniti raggi delle varie forme esteriori della religione. Se è da questo punto centrale che emanano tutte le forme, quale arte o disciplina se non lo Yoga integrale le riunisce tutte insieme? Lo Yoga è il punto e i raggi contemporaneamente, è in esso che si dissolvono e si mescolano tutte le forme. Lo Yoga è il punto di collegamento di tutti i riti religiosi esteriori. Noi possiamo vedere esso nelle innumerevoli posture (asana) dello Yoga. Abbiamo già trattato quest’argomento nell’articolo YOGA E ISLAM, ma questo concetto è estendibile a tutte le religioni.
    Una grande scienza, una vasta filosofia è contenuta nel simbolo del cerchio. Gli iniziati che hanno capito la potenza di questo simbolo, non chiedono altro di poterlo introdurre in loro stessi come fanno gli Yogi.2
    Denis Gril ha fortemente sottolineato l’importanza di queste note le quali sono altresì sostenute da altri rappresentanti dell’esoterismo islamico. Anche presso gli Ikwan, i Fratelli della Purezza, si trova «il riferimento ad un linguaggio e auna scrittura primordiale. Adamo, creato secondo una forma perfetta, parla la lingua suryaniyya. Sebbene alla sua epoca, non esistesse la scrittura, è detto che Adamo ricevette nove lettere o segni (‘alâmat) rappresentati dalle nove cifre indiane, prese successivamente in prestito dagli arabi. Esse corrispondono alle nove sfere che abbracciano tutti gli esseri. Dalle loro ramificazioni successive sono nate le altre scritture, ma gli abitanti gli abitanti custodiscono il privilegio di questi nove segni perché è là che Adamo discese dal Paradiso. L’India rappresenta per gli Ikhwan la primordialità adamica mentre le ventotto lettere dell’alfabeto arabo segnano il completamento e la perfezione di questa tradizione, come il ciclo lunare completa il ciclo solare.»3
    Ci sono infine le indicazioni, più precise, che Guenon ha trasmesso a Michel Valsan sul seguente triangolo dell’Androgino.4





    Le lettere che circondano questa figura sono arabe. Sul vertice superiore, un alif; sull’angolo di destra, un dâl; su quello di sinistra, un mîm; abbiamo così, per il triangolo maggiore, il nome di Adam leggendo in senso orario. Sul punto mediano del lato destro, dove si trova il vertice di uno degli angoli del triangolo rovesciato, c’è un hâ; sul punto mediano del lato sinistro, dove c’è il vertice dell’angolo adiacente al medesimo lato, abbiamo un wâw; infine, sul punto mediano della base del triangolo maggiore, laddove si trova il vertice inferiore del triangolo minore, c’è un altro alif; abbiamo così, per il triangolo minore, il nome Hawâ leggendo in senso antiorario. 5
    L’effetto prodotto dall’interferenza delle lettere dei due nomi su ogni lato del triangolo maggiore è il seguente: sul lato destro abbiamo alif, hâ, dâl = Ahad, che significa Uno; sul lato sinistro abbiamo alif, wâw, mîm = Aum, trascrizione araba del monosillabo sacro dell’Oriente; infine, sulla base, secondo l’ordine normale della scrittura araba, si ha dâl, alif; mîm = dâm,
    verbo che significa «egli è permanente», ma che bisognerebbe leggere come il participio presente Dâ’im = «Permanente, Eterno». In Dâ’im, che è uno dei nomi divini, la lettera i della traslitterazione in caratteri latini corrisponde, nella scrittura araba, a una semplice hamzah (segno di attacco vocalico che non è una lettera e non ha neanche, di conseguenza, un valore numerico). Abbiamo così tre termini di un’importanza fondamentale nell’ordine dottrinale: il nome divino dell’Unità Pura (cfr. Corano,CXII,1), il vocabolo primordiale che secondo la dottrina indù include l’essenza del triplice Vêda ed è dunque un simbolo del Verbo universale e, infine, un termine che esprime la permanenza del Principio Unico quanto quella della Rivelazione Prima del Verbo. Ciononostante, questi tre aspetti divini, in quanto compaiono qui nella struttura della Forma dell’Androgino umano, sono propriamente aspetti teofanici dell’Uomo Universale.
    Sotto questo rapporto, è interessante constatare che l’ alif del vertice superiore, che esprime già di per sé le idee di «principio» e di «unità» (il valore di questa lettera è 1) o anche di «polarità» (il valore delle lettere che compongono il nome alif è 111, numero del «polo», Qutb), entra come lettera iniziale tanto in Ahad = «Uno», che in Aum = Om. Ciò si accorda anche con la posizione principiale che questa lettera occupa sia nell’ordine «numerico» sia nell’ordine «letterale»; viene così suggerita l’idea che ci troviamo qui in presenza di una sorta di «sigillo» delle due scienze sacre dei Numeri e delle Lettere. Tali scienze sono in realtà due branche principali della più generale Scienza dei Nomi (applicabile tanto nell’ordine divino quanto nell’ordine creaturale), Scienza che Allâh insegnò ad Adamo come suo privilegio (Corano, II, 31; cfr. Genesi, II, 19-20). Il fatto che nel nostro schema questo alif sia innanzitutto l’iniziale del nome Adam, illustra perfettamente la verità secondo cui queste due scienze sono attributi complementari e solidali dell’Uomo Universale. Al contempo, siccome la loro origine è divina, come abbiamo detto, l’alif che simboleggia il loro principio deve essere considerato come l’iniziale del nome stesso Allâh , «conferita» ad Adamo mediante quella teofania Primordiale che è la sua creazione «secondo la Forma di Allâh». Questo alif è allora un simbolo dell’essenza intelligibile di questa Forma totale, così come il segno diritto della prima lettera dell’alfabeto sacro è considerato il principio costitutivo di tutte le altre; così come il suono a che ad esso corrisponde (lo si vede nella scrittura, quando la lettera contrassegnata da una fathah, cioè dal suono a, «saturata» è prolungata necessariamente con un alif) è la voce primordiale di cui tutti i suoni possibili sono solo modificazioni; così come l’unità, che è il valore numerico di questa lettera, è il principio di tutti i numeri. Infine questo alif superiore, che occupa la posizione iniziale nel nome Adam, ha come una «proiezione» nell’alif inferiore con cui termina il nome di Hauâ. La relazione tra queste due alif è d’altronde, rigorosamente, quella di due gradi esistenziali simultanei e polarmente opposti di un medesimo essere, così come Hauâ non è che una parte intima dell’Adamo primordiale e androgino e, in modo distintivo, il suo complemento prodotto da un semplice riflesso interiore dell’aspetto maschile. Da un punto di vista microcosmico più analitico, il posto occupato dall’alif del vertice superiore è quello del raggio inviato dal Sole spirituale, che è il Sé trascendente, raggio che colpisce innanzitutto il centro del «loto dai mille petali» (sahasrâra)6, situato simbolicamente sulla corona del capo. A sua volta l’alif in basso rappresenta, potremmo dire, il punto d’arrivo inferiore del medesimo raggio (attraverso l’arteria sottile Sushumna); e la sua posizione, che è il punto di contatto tra il vertice inferiore del triangolo minore e la base di quello maggiore, esprime una relativa e apparente «immanenza» del Sé nel fondo della «caverna del cuore»7, mentre, secondo la sua essenza pura, il Sé resta incondizionato, così come l’alif originario, quello di Allâh, non è assegnabile secondo la sua vera natura in nessuna posizione determinata su questo schema simbolico, i cui elementi procedono però tutti quanti da esso. Dal punto di vista microcosmico, la relazione di «discesa» che esiste tra questi due alif e, in fondo, un’espressione della manifestazione del Comando Domenicale (al-Amr ar-Rabbânî), che scende dal Cielo alla Terra, riordina il mondo e risale verso Allâh 8. D’altra parte, se ci si riferisce al simbolismo della montagna e della caverna come «sedi» del Polo spirituale, l’alif superiore rappresenta la posizione dominante e manifesta di quest’ultimo all’inizio del ciclo, e l’alif inferiore la sua residenza centrale e interiore nella fase di occultamento.
    Nella nostra figura, le lettere arabe corrispondenti ai caratteri A, U, M si succedono in ordine discendente, la qual cosa corrisponde alla gerarchia delle verità che esse simboleggiano, mentre nella simbolica indù l’ordine delle mâtrâs di Om è ascendente.
    Altro punto chiave, altamente significativo ma poco trattato, è la disposizione oraria e antioraria dei nomi arabi Adamo ed Eva le cui lettere sono poste ai vertici dei loro rispettivi triangoli.

    Questi movimenti circolari opposti hanno una valenza polare-duale e simboleggiano oltre alla concezione interpretata dal Tantra-Yoga della mano destra e della mano sinistra anche i principi e i metodi della nuova ricerca scientifica.

    “Il sentimento cosmico religioso… è la motivazione più forte e più nobile della ricerca scientifica”

    Albert Einstein

    La fisica moderna, ha compiuto, con la teoria atomica, un grande passo avanti verso la concezione del mondo dei mistici. La fisica quantistica, addentrandosi nel cuore profondo della materia, scopre che essa è vuoto e energia. L’idea che tutti gli opposti sono polari è uno dei principi fondamentali del misticismo orientale. Nella fisica moderna, esempi di unificazione di concetti opposti si possono trovare a livello subatomico, dove le particelle sono sia distruttibili sia indistruttibili, dove la materia è sia continua che discontinua e dove forza e materia sono soltanto aspetti diversi dello stesso fenomeno. Gli stessi concetti di spazio e tempo, che erano sembrati completamente distinti, sono stati unificati nella fisica relativistica. A livello atomico, la materia ha un’aspetto duale: si manifesta come particella e come onda. L’aspetto che essa presenta dipende dalla situazione: in alcuni casi predomina l’aspetto corpuscolare, in altri quello ondulatorio; e questa natura duale è tipica anche della luce e di tutte le altre radiazioni elettromagnetiche. La fisica atomica è giunta alle stesse conclusione della filosofia indù. Ford non è l’unico fisico che abbia usato espressioni di “creazione e distruzione” e “danza di energia” impiegati nel misticismo induista.

    La danza di Shiva simboleggia non solo i cicli cosmici di creazione e distruzione, ma anche il ritmo quotidiano di nascita e morte che nel misticismo indiano è considerato la base di tutta l’esistenza. Così Heinrich Zimmer descrive questa danza:
    “ I suoi gesti sfrenati e pieni di grazia evidenziano l’illusione cosmica; l’aleggiare delle sue braccia e delle sue gambe e l’ondeggiare del suo tronco producono – anzi, sono – la continua creazione-distruzione dell’universo, dove la morte è in perfetto equilibrio con la nascita, l’annichilimento è l’esito di ogni venire in essere”.
    I vari significati di questa danza sono espressi dai particolari di queste figure in una complessa e vivida allegoria. La mano destra superiore della divinità tiene un tamburo per simboleggiare il suono primordiale della creazione (AUM), la mano sinistra superiore regge una fiamma, l’elemento della distruzione. L’equilibrio delle due mani rappresenta l’equilibrio dinamico di creazione e distruzione nel mondo, reso ancora più evidente dalla calma e dalla serenità del volto del danzatore, al centro tra le due mani, in cui la polarità di creazione e distruzione è dissolta e trascesa. La seconda mano destra è alzata nel segno del “non temere”, e simboleggia la conservazione, la protezione e la pace, mentre l’altra mano sinistra è rivolta in basso verso il piede sollevato che simboleggia la liberazione dall’incantesimo della maya. Il dio è rappresentato mentre danza sul corpo di un demone, il simbolo dell’ignoranza umana che dev’essere sconfitta prima che si possa raggiungere la liberazione. La danza di Shiva è la danza dell’universo: il flusso incessante di energia che attraversa una infinita varietà di configurazioni che si fondono l’una nell’altra. 9
    La complementarietà tra induismo e islam è riscontrabile anche nella danza cosmica eseguita dai dervisci rotanti Mevlevi con ritualità affini ma complementari nella gestualità e nei movimenti delle mani e degli altri arti del corpo:
    “I dervisci si alzarono e con movimenti calmi e sicuri, alzando il braccio destro, piegato, con il capo girato da una parte e il braccio sinistro disteso, lentamente entrarono nel circolo e con una serietà straordinaria cominciarono a ruotare su se stessi, movendosi contemporaneamente intorno al circolo. E al centro con le braccia piegate allo stesso modo, guardando il suo braccio destro, un derviscio con una corta barba grigia e una tranquilla faccia piacevole girava lentamente su se stesso rimanendo fermo in un punto, strusciando i piedi con un movimento peculiare. Tutti gli altri, alcuni molto giovani, altri di mezz’età, altri ancora piuttosto anziani, ruotavano intorno a lui. E tutti loro giravano intorno e si muovevano lungo il circolo a velocità differenti; i più anziani giravano più lentamente, i più giovani, invece, lo facevano ad una velocità da togliere il fiato. Alcuni sembrava tenessero gli occhi chiusi mentre ruotavano, altri guardavano semplicemente in basso, ma nessuno di loro toccò mai gli altri…Tredici di loro ruotavano nello stesso momento… I dervisci rotanti rappresentano schematicamente il sistema solare e i pianeti che ruotano intorno al sole…” 10



    1. René Guénon, Simboli della scienza sacra
    2. Mikhaël Aïvanhov, Il linguaggio delle figure geometriche
    3. Nota di denis Gril in Ibn Arabi, Les Illumination Mecquoise, pag. 206-207
    4. Michel Valsan, Sufismo ed Esicasmo
    5. Hawâ significa Eva, questo nome esprime l’idea di vita (hayât), si vede subito la sua relazione con il cuore, sede del «centro vitale», di cui il triangolo rovesciato è il simbolo geometrico.
    6. Il fatto che l’alif derivi da una radice che, vocalizzata alf, significa mille, favorisce in qualche modo questa assimilazione.
    7. È dunque un equivalente dell’Avatâra «nato nella Caverna», nonché di Shiva, impegnato nel divenire e chiamato «couli che è nel nido». Ciò non può non ricordare, secondo un’altra prospettiva sulla costituzione dell’essere umano, la localizzazione della forza serpentina Kundalini alla base della colonna vertebrale, nel triangolo chiamato Traipura che è sede della Shakti. È praticamente superfluo ricordare che il Serpente, al-hayyah, è sia etimologicamente sia mitologicamente connesso a Eva.
    8. Ciò avviene «in un Giorno la cui misura è di 1000 anni del computo ordinario» (Corano, XXXII, 5), il che evoca il significato della radice da cui deriva il termine alif.
    9. Fritjof Capra, Il Tao della Fisica
    10. Demianovich Ouspensky, Un nuovo modello dell’universo.
     
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