RUBY

La prima provocatrice...

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  1. kiccasinai
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    Eccovi un interessante articolo in italiano preso da questo sito:
    http://www.lettera22.it
    in cui si parla del fenomeno Ruby del perche' contro di lei, si sono spesi fior di intellettuali, laici e non, per spiegare che il fenomeno del videoclip stia trascinando il pubblico arabo verso il basso.

    QUOTE
    LA DONNA E' UN VIDEOCLIP 9/9/05
    Altro che elezioni. I cambiamenti, nel mondo arabo, passano soprattutto attraverso fenomeni di massa come i videoclip. E di sorprese ce ne sono molte

    Paola Caridi

    Venerdi' 9 Settembre 2005
    Lei si chiama Ruby. Capelli neri come il petrolio, mossi e lunghi sulla schiena. Occhi allungati, nasino all’insù, tutti gli attributi al punto giusto. Una bella ragazza, senza dubbio. Quando però, appena tre anni fa, ha iniziato il suo cursus honorum nello spettacolo, non pensava certo di scatenare il più intenso dibattito culturale in terra araba degli ultimi anni. Perché in fondo, si direbbe da noi, “sono solo canzonette” quelle che lei canta, e che accompagna accennando le classiche movenze della danza del ventre.
    Lo aveva già fatto Shakira, e i video della star colombiano-libanese non erano certo stati la miccia di un tale can can. Come quello che, invece, l’epigona egiziana sta creando. Ormai, ogni volta che esce la sua ultima clip, la polemica è assicurata. È successo anche con Iba Abelni, ambientata nel più facile e stereotipato kitsch faraonico. Scenografia dove lei, Ruby, compare fasciata da un costume dorato da cui esce molta carne. Troppa, per alcuni. Per non parlare di quel serpente appoggiato con non-chalance attorno alle spalle, nel più trito richiamo a Cleopatra. Quando è troppo è troppo, insomma. Soprattutto in un paese come l’Egitto, dove tutto ciò che richiama il tempo delle Piramidi è considerato intoccabile.
    L’ostilità verso la giovane Ruby, poco meno di 24 anni di età, si è così subito raddoppiata. Scontata, invece, è l’ostilità islamista per una delle più popolari star di MTV, Mazzika, Melody e di tutta la schiera di canali satellitari arabi che, in un tam tam senza fine, propongono al pubblico dei teenager gli ultimi miti della popmusic della regione. Ruby offende i costumi musulmani, soprattutto quando – com’è accaduto in uno dei suoi video più gettonati – compare anche una ragazza con lo hijab, il velo islamico. E non è la sola a muoversi ai confini delle convenzioni sociali, visto che è in compagnia di tutte le stelle (e stelline) del firmamento canzonettaro arabo, da Nancy Hajram a Haifa Wehbe. Tanto per citare quelle più gettonate e più procaci.
    Il commento dei maschi europei, molto più prosaico, sarebbe forse limitato a un “che dio le benedica”, visto che si tratta sempre di ragazze vistose, belle, e con una buona dose di chirurgia plastica applicata. Ma la questione non è così semplice, in un mondo – come quello arabo – in cui la crisi identitaria è diventata la questione più sensibile e delicata.
    La novità, nella star war attorno a Ruby, è semmai che non è stata solo la variegata galassia islamista a essere scesa in campo. Contro di lei, si sono spesi fior di intellettuali, laici e non, per spiegare che il fenomeno del videoclip (cultura di massa, si direbbe da noi?) sta trascinando il pubblico arabo verso il basso.
    Per alcuni si tratta di semplice colonialismo culturale da parte dell’Occidente, visto che il videoclip arabo ricalcherebbe i moduli stantii proposti sull’altra del riva del Mediterraneo e, ovviamente, soprattutto sull’altra riva dell’Atlantico. Per altri ancora, la canzonetta versione video è la faccia più retriva della globalizzazione, quella che mette insieme sesso e consumismo, portando soldi facili nelle casse dei network telefonici che inondano la rete dei cellulari di suonerie all’ultimo grido, o che ricevono in continuazione sms da ritrasmettere in tv, lungo il sottopancia dello schermo catodico che trasmette – appunto – le top ten care agli adolescenti dal Marocco al Golfo Persico. L’unico dato certo, per ora, è che i videoclip sono l’humus culturale più esteso del mondo arabo tra i giovani. Come testimonia che il candidato alle presidenziali egiziane più sensibile ai cambiamenti della sua società, Ayman Nour, avesse tentato di proporsi agli elettori tramite – appunto – un videoclip e una canzone orecchiabile perché famosa. Il videoclip non è mai andato in onda. Per mere questioni di copyright non pagati, hanno detto le autorità competenti.
    Il dibattito più semplice ruota – scontatamente - sull’erotismo facile proposto dalle giovani cantanti arabe, tutte glamour e abiti succinti. Se però fosse solo una questione di centimetri di stoffa, indossati peraltro in gran parte da cantanti cristiane, la querelle sarebbe già stata risolta. Il cuore del problema, invece, sta nel tessuto di relazioni sociali, familiari, sentimentali che i clip raccontano. Perché le storie, le storie dei video, raccontano facce diverse del pianeta arabo. Non tutte vere, certo. Ma neanche tutte false.
    Il “non tutto vero” – ed è questa l’accusa dell’intellighentsjia più politicizzata – è il fondale, sul quale spesso è rappresentato un tipo di vita lontano dal 90% degli arabi. E vicinissimo all’èlite che veleggia verso la marina di El Gouna, la portofino egiziana accanto a Hurghada, va a fare compere a Dubai, si concede gite fuori porta sulla decappottabile di lusso di marca europea e va a prendersi qualcosa da bere nella Beirut di Solidere. Ben lontano, insomma, da quelle periferie sempre più povere dove – però – le paraboliche sono di casa e i network satellitari vomitato clip. La versione catodica dei nostri harmony, insomma.
    Più interessante, invece, è il “non tutto falso”. E cioè quello che i clip dicono, finalmente, su società molto più complesse di quello che, in Occidente, si usa rappresentare. Anzitutto, la musica. Non tutta uguale, e non tutta semplice, inutile sottofondo per mostrare la bella e discinta ragazza di turno. Anzi. Intanto, gli idoli musicali dei giovani arabi non sono solo donne. Di uomini, ce ne sono parecchi. Amr Diab in testa, sul quale era uscito un gossip che lo dava in procinto di presentarsi alle elezioni politiche egiziane del prossimo novembre. Gossip smentito, ma i pettegolezzi segnalano anche la grande popolarità di Diab.
    Fuori dall’angusto seminato delle canzonette, poi, si apre un mondo. Da quello più strettamente legato all’interpretazione in chiave contemporanea del trend religioso, che vede in prima fila artisti come Sami Yusuf. Sino alle contaminazioni con l’ovest, che danno vita a rap, hip hop, ska, rock, funk e quant’altro in chiave araba. In aggiunta, ci sono poi i “personaggi”, come il fin troppo famoso Shaaban Abdel Rahim, cantante satirico egiziano, aspetto da bullo di periferia con parecchia gioielleria addosso, diventato conosciuto in Occidente per una delle sue canzoni più in voga negli scorsi anni, “Io odio Israele”, seguita – l’anno successivo – da “Io amo Amr Moussa”. E ora richiamato a più miti consigli, visto che ha dichiarato di voler votare per Mubarak alle presidenziali.
    Quello che, però, affascina di più del “normale” videoclip è il sottotesto, i cambiamenti sociali descritti nelle microstorie. E che, a ben vedere, sono parecchi, come sottolinea Humphrey Davies nel commento che introduce a Culture Wars: The Arab Video Clip Controversy dossier confezionato dal Transnational Broadcasting Studies (www.tbsjournal.com), la rivista tutta dedicata alle tv satellitari dall’Adham Center dell’America University del Cairo. Il caso esemplare, per un profondo conoscitore della realtà araba com’è Davies, da trent’anni nella regione, è quello di Nancy Ajram, “la cosa migliore che è successa alla cultura popolare araba dopo la shawerma”, il panino imbottito di tacchino.
    Nancy sbeffeggia il machismo tipico della cultura anche contemporanea araba. E rappresenta nei suoi video ragazze normali, come l’estetista innamorata che, in Ma-adri Keef, prima si sfoga con la madre, tutt’altro che ostile, e poi “con il suo amico del cuore, che è un gay e – che sorpresa – non è neanche ridicolizzato; e alla fine madre e amico fanno di tutto perché vi sia il lieto fine”. Niente male, come storia, in una cultura in cui i matrimoni sono, spesso, ancora combinati dalle famiglie e l’omossessualità è un tabù sul quale la discussione pubblica è praticamente impossibile. Nancy, conclude Davies “è, insomma, divertente, intelligente e – con un tocco leggero – sovversiva. Che è, peraltro, la ragione vera per la quale non piace ai nostri autodesignati guardiani morali. Lei usa molto di più la sua personalità di quanto usi le sue parti del corpo”.
    Qualcosa si sta muovendo, dunque, nella parte femminile della società. E non si tratta solo delle sinuose movenze della danza del ventre. A confermarlo, ci sono eventi del tutto slegati dal mondo del videoclip, ma che la dicono lunga sui fermenti in corso. Il primo evento è politico: la reazione di alcuni gruppi di donne egiziane al pestaggio duro ricevuto da alcune manifestanti scese in piazza il 25 maggio scorso per protestare contro il referendum costituzionale indetto da Mubarak. Invece di rinchiudersi nella modestia richiesta per codice alle donne, le vittime dei pestaggi si sono fatte fotografare e hanno sfidato le autorità chiedendo giustizia. Non solo. A sostenerle sono scese in campo altre donne, per chiedere proteste visibili, continuate per tutta l’estate.
    Il secondo avvenimento è di costume. Protagonista Hind al Hinnawy, costumista, 27 anni: si era innamorata di Ahmed el Fishawy, di tre anni più giovane di lei, ma figlio di attori celebri e a sua volta volto nuovo della tv. Si erano sposati con un matrimonio urfi, uno di quei matrimoni “leggeri” che restano segreti e consentono ai ragazzi una convivenza altrimenti impossibile. Quando lei è rimasta incinta, però, lui non è ha più voluto sapere niente di Hind, rescindendo il contratto matrimoniale. Lei non c’è stata, ha chiesto il riconoscimento del bambino e si è appellata al tribunale per imporre a Fishawy la prova del DNA.
    A parte il coraggio di portare una storia simile di fronte ai giudici, la vera novità sta nella reazione del pubblico, in maggioranza dalla parte di lei e contro il maschio di successo. Così come la vera novità, su Ruby e le sue sorelle di videoclip, è che la gente continua a vederle, a votarle, ad ammirarle. A dispetto delle guerre culturali e dei chierici all’attacco.

     
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1 replies since 18/6/2008, 09:35   2265 views
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