Il velo nella storia

hijiab,burka,chador:paese che vai velo che trovi...

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. kiccasinai
        Like  
     
    .

    User deleted


    allora ..... penso che se ne parli ultimamente un po' troppo e troppo spesso senza troppa cognizione d causa ....lo so ho usato "troppo" "troppe" volte :P ma e' che mi sento un po' presa in giro da come viene affrontato il tema sui normali mezzi di comunicazione, televisone in primis :(
    image
    In rete ho trovato davvero molti articoli che mi hanno chiarito ancora meglio le idee per quanto riguarda la "storia del velo", le sue radici con l "Islam, le contraddizioni, il suo utilizzo nel tempo da tante donne in tutto il mondo.... (dopo anni di vita in Egitto qualcosa l'avevo gia' capita :shifty: :invis: )
    Ecco, ora ve ne postero' alcuni, tra quelli che secondo me raccontano con semplicita' il complicato, intricato, discorso sul velo...
    image
    (alcuni di questi artic. k ho trovato sul web sono in inglese e prossimamente li postero' nella "english version" di questo forum che, vi ricordo, e' "Living in Sharm" che potete visitare cliccando sul logo in fondo a questo post nella mia firma)

    e ora ecco il primo che ci parla piu' che altro della sua interpretazione in passato a partire dall'epoca pre-islamica:

    image

    CITAZIONE
    L'hijab e l'islam: sveliamo un segreto
    di Silvia Scaranari (il Domenicale. Settimanale di cultura, 25 dicembre 2004)

    Velo sì, velo no: problema plurisecolare nel mondo islamico che s’interroga con insistenza sull’abbigliamento femminile più consono alla natura propria della donna e al rispetto delle indicazioni coraniche al riguardo. Oggi il dibattito ha assunto valenze diverse: non è più solo il pudore femminile a dover essere difeso ma spesso, in certi ambienti, è l’identità stessa della donna islamica a riconoscersi in un pezzo di stoffa posto sul capo a copertura di quei capelli ove, secondo un detto del Profeta, risiede un terzo della bellezza femminile.

    Il dibattito, che prosegue da secoli, non è peraltro destinato a esaurirsi a breve giacché origina proprio nella poca chiarezza con cui il problema viene affrontato nel Corano stesso.

    In epoca preislamica l’uso del velo è incerto, e nel Corano è richiamato solo sette volte: poche per un elemento che avrà tanto significato nei secoli futuri. Durante la vita di Muhammad non vi è nulla che testimoni un simile uso da parte delle sue numerose mogli. In genere si fa però risalire la rivelazione circa il velo al versetto 53 della sura 33: a Medina, nell’anno 5 dell’Egira, dopo aver sposato la cugina Zaynab, Muhammad non riesce ad allontanare i numerosi ospiti presenti nella propria casa e così, a un certo momento, decide di tirare una cortina (sitr) che divida la stanza in una parte destinata a tre ospiti particolarmente invadenti e un’altra riservata alle attenzioni di Zaynab verso il marito. Fu lì che scese la rivelazione dell’ hijab, il velo: “Quando chiedete ad esse (le mogli del Profeta) un qualche oggetto, chiedetelo da dietro una cortina: ciò è più puro per i vostri cuori e per i loro”. È quindi una circostanza particolare che rende necessaria la separazione fra gli estranei alla casa di Muhammad e le donne, in questo caso esplicitamente solo le sue. Inoltre, il termine hijab viene usato più volte con significati del tutto diversi: come barriera che impedisce al credente di vedere Allah durante la rivelazione (Corano, XLII, 51); come velo con cui Maria, la madre di Gesù, si riparò dagli sguardi indiscreti della propria gente (XIX, 17); come barriera che separa i dannati dai beati nel giorno del Giudizio (VII, 46). Esiste poi l’espressione “darabat al-hijab” cioè “ella mise il velo”, a significare “sposò il Profeta”; solo le mogli di Muhammad potevano infatti portare il velo (XXXIII, 59), e questo perché le si distinguesse dalle altre donne, in particolare dalle concubine, e perché fossero particolarmente rispettate dai fedeli, a cui peraltro il Corano faceva espresso divieto di sposarle in caso di ripudio o di morte del loro marito. In senso ancora più generale, l’espressione indica il “velo” della notte che avvolge il sole al tramonto (XXXVIII, 32), o ancora, e in senso mistico, è il buio che ottenebra il cuore e i sensi degli empi (XLI, 5).

    Quattro diversi modi d’intendere il velo

    Tuttavia nell’islam classico e contemporaneo, l’hijab ha acquisito significati diversi, seguendo almeno quattro percorsi fra loro anche molto lontani:

    Il velo, inizialmente imposto solo alle mogli di Muhammad, è stato esteso a tutte le donne musulmane libere. Indica il passaggio dall’infanzia alla pubertà e serve a coprire tutto il corpo femminile tranne il viso e le mani. Secondo molti interpreti, questa usanza segna la netta separazione, anzi segregazione, della donna dalla società civile, ma nella prospettiva islamica indica soprattutto il rispetto dovuto alla donna che così viene salvaguardata dagli sguardi impuri degli uomini. Secondo Alessandro Aruffo, “nel corso della storia, l’islam ha proposto molteplici varianti del velo in rapporto ai popoli e alle culture con cui è venuto in contatto e con l’acquisizione di molteplici significati simbolici” (Donne e islam, Datanews, Roma 2000, p. 49) ed infatti si è parlato di volta in volta di litham, khinâ‘ e burkhu‘ . Quest’ultimo, il famoso burqa, è forse l’espressione più rigida della presunta prescrizione coranica, giacché non lascia trapelare nulla del viso e copre persino le mani con dei guanti neri. È tuttavia attestato che, durante la vita del Profeta, non tutte le sue mogli obbedivano alla prescrizione coranica e certamente non sempre. Se ‘A’isha, la preferita, usava indossare il velo del matrimonio, altre non lo facevano affatto. Famoso è l’episodio di Umm Omara, che durante la battaglia di Uhd combatté vicino al marito e fu da questi elogiata per come usava la spada, la stessa donna che nel 634, sempre in combattimento, perse un braccio.

    L’uso generalizzato del velo fu certamente un’influenza bizantina e romana, dove l’abitudine a coprirsi il capo era tipica delle donne aristocratiche. È infatti noto che anche presso i musulmani l’uso del velo non venne per lungo tempo adottato nelle campagne dove le donne, dovendo lavorare la terra, preferivano abbigliamenti che consentissero maggiore libertà di movimento. Solo lentamente il velo si è imposto come uso comune, divenendo anzi gradatamente segno di distinzione e di appartenenza delle donne alla fede rivelata da Allah. Alla fine del XIX secolo, in Egitto prima e poi in Medio Oriente, partì un movimento a favore della abolizione del velo che trovò nello scrittore egiziano Khâsim Amîn il vero teorico della “emancipazione” femminile. Nel 1873, dopo l’apertura dei primi collegi femminili, alcune iniziarono a chiedere l’abolizione del velo e nel 1926 sarà Huda Sha‘râwi Pasha la prima a presentarsi in pubblico a capo scoperto. Oggi, al contrario, sono proprio le studentesse a chiedere e a indossare ostinatamente il velo in segno della loro appartenenza alla comunità islamica, talora in aperta sfida alle leggi statali come è recentemente accaduto in Francia.

    Spirito e magia

    Sempre il termine hijab (accanto a quello di sitr e di sitara) è usato per indicare la cortina di seta, o talora di legno pregiato, dietro la quale si cela il califfo o il re onde sottrarsi agli sguardi dei familiari. L’usanza, sconosciuta nei primi decenni dell’islam, pare sia stata introdotta dagli Omayyadi e sia stata poi ulteriormente complicata in Andalusia e in Egitto sotto i Fatimidi da un articolato rituale mirante ad aumentare il prestigio e l’aura sacrale del sovrano.

    Nel mondo sufi, il termine hijab indica invece ciò che rende l’uomo impermeabile alla verità divina. Sono materialità, sensualità e superficialità che separano dalla verità divina la quale vorrebbe rivelarsi all’uomo e penetrarne il cuore, ma ne è impedita dalla bassezza delle passioni terrene. In ultimo, lo hijab è un oggetto semimagico usato in alcune pratiche popolari. Garantisce l’invulnerabilità a chi lo porta, assicurandogli il successo dei suoi propositi. Si tratta di un piccolo foglio di carta sul quale lo shaikh (o il faqir) traccia segni cabalistici o versetti coranici e che viene conservato a contatto con la pelle onde ottenere ciò che si desidera: una maternità, l’amore, il successo, una guarigione. Insomma, più un’usanza che un dogma scritturale.

    fonte: Click!

    image
    ...questo era il primo...
    ora ve ne passo un altro che spero vi servira' come e' lo e' stato x me a chiarrvi le idee sulla differenza tra chador e burka o hijab...per capire in quali paesi sono piu' diffusi le "varianti del velo"
    imageimage imageimage
    imageimageimageimage
    CITAZIONE
    Paese che vai velo che trovi
    di Bertello Agnese

    Come l'usanza del velo si differenzia nei vari paesi musulmani

    Himar
    È il velo più classico, semplice e diffuso nel mondo islamico. Di lunghezza medio-corta, copre le spalle, ed è chiuso sotto il mento con una spilla oppure semplicemente con un nodo. Può essere di molti colori, in fantasia oppure in tinta unita. In Turchia si usa esclusivamente l’himar. In Egitto, invece, con questo stesso termine si intende un indumento leggermente diverso; i veli sono in realtà due: un primo raccoglie i capelli e viene legato dietro la nuca, un secondo, lungo fino alle ginocchia, viene appoggiato sopra questo e tenuto con le mani.

    Hijab
    la parola hijab deriva dal verbo arabo hajaba: ‘nascondere’. Anche lo hijab è composto da due pezzi: una prima cuffia che raccoglie e copre i capelli, tenendoli fermi, e un velo vero e proprio che viene appoggiato su questa. Spesso si lascia che la cuffia sporga da sotto il velo. È usato soprattutto dalle ragazze. Può essere solo legato sotto il mento oppure appuntato con una spilla. Le punte del velo possono essere lasciate cadere morbidamente sul corpo, oppure, per ragioni di praticità, possono essere avvolte attorno al collo a mo’ di sciarpa, in particolare quando si devono svolgere attività di tipo pratico.
    Ha’ik
    Il termine deriva dal verbo haka, che significa ‘tessere’ ed indica una stoffa tessuta in maniera tradizionale, in casa. A seconda delle diverse usanze possono essere usati fili di seta, come in Algeria, o di lana, come in Tunisia. L’haik viene tenuto stretto con la mano. Una volta era molto comune in Algeria, oggi invece è usato nelle occasioni speciali: le spose, per esempio, lo usano come mantello per coprire il loro abito da sposa all’inizio della cerimonia.
    Jallaba +jar
    Tipico del Marocco, la jallaba è una sorta di tunica con cappuccio legato sotto il mento e stretto intorno ai capelli. Jar è invece il nome del pezzo di stoffa che copre il volto.
    Il jar può riprendere la tonalità del cappuccio o del mantello e può avere elementi decorativi in pizzo. Anche la lunghezza può variare; in Marocco, ad esempio, il jar arriva a coprire con morbidi drappeggi il petto.
    Lihaf
    Questo abbigliamento è tipico delle regioni dell’est dell’Algeria. Si tratta di un lungo velo di colore chiaro trattenuto sulla testa della donna da una fascia, avvolta a mo’ di turbante. Occasionalmente, i veli potevano essere trattenuti sulla testa da una coroncina d’oro o di altro materiale prezioso, in questo caso venivano usati anche altri monili tradizionali: bracciali, collane, spille.
    Tarha
    Il tarha è un velo sottile, bianco o nero, usato soprattutto in Egitto per coprire i capelli. Ad esso possono essere abbinati diversi tipi di stoffe per coprire il volto: lo yashmak, veniva drappeggiato sul viso a partire da sotto gli occhi; il bisha, poteva invece coprire l’intero volto; il burqu’, da non confondersi con il burka, è un tessuto di rete sottile, legata intorno al capo, sotto gli occhi, e aveva al centro, sopra il naso, un piccolo decorativo cilindro d’oro o di ottone. Tradizionalmente, la scelta del tipo di velo per il volto dipendeva sostanzialmente dalla classe sociale: lo yashmak veniva usato dalle donne aristocratiche o di classe sociale elevata, il burqu’ tendenzialmente dalle donne di basso livello sociale, mentre il bisha non aveva precise connotazioni. Questo tipo di abbigliamento si usa molto anche nello Yemen, in Afghanistan, in Iran, decisamente meno nei paesi del nord Africa.
    Kinaa
    Questo velo viene usato tradizionalmente in Siria, si chiude intorno al viso ed è di norma di colore nero. La kinaa viene di solito abbinata ad un altro piccolo pezzo di stoffa che viene legata intorno alla testa a mo’ di corona, sopra gli occhi. Questo velo per il volto è fatto di due strati, uno più pesante e uno,quello più interno, più leggero e trasparente. A seconda delle situazioni, la donna che indossa la kinaa potrà scegliere di tenere abbassati sul volto entrambi i veli, di sollevare solo il velo esterno, più pesante e coprente, oppure, se la situazione lo permette, può sollevarli entrambi.
    Kambus
    Il kambus si usa soprattutto nel sud dell’Algeria. È una sorta di tunica che si infila dall’alto, copre il capo, viene legata in vita e ha un’unica piccola fessura che lascia libero un occhio. È di stoffa sottile, generalmente bianca. In Algeria esiste un velo analogo chiamato milaja.
    Niqab
    Il verbo arabo naqaba significa ‘velare la faccia’; il niqab è il nome del pezzo di stoffa che copre il volto della donna: ne esistono esemplari molto raffinati ed eleganti, con particolari in pizzo. In Egitto, il niquab è pesante e nero, attraversato da una sottile fessura per vedere. Nello Yemen e negli Emirati Arabi il niqab ha assunto una forma particolare: si tratta di una tunica intera infilata dalla testa che copre completamente capo, volto e corpo; all’altezza degli occhi vengono lasciate due aperture, i bordi di queste fessure sono spesso molto ricamati e gli occhi della donna che emergono sono molto truccati.
    Chador
    Nero, lungo fino ai piedi, viene chiuso esattamente all’altezza del mento, in modo tale che il solo volto emerga dal velo, quasi fosse disegnato. Il chador può essere appuntato con spille, ma può anche essere completamente cucito in maniera tale da lasciare emergere solo l’ovale del viso. È tradizionalmente usato dalle donne della minoranza sciita, ed è diffuso soprattutto in Iran.
    Burka
    Diffuso in Afghanistan, il burka copre integralmente la figura della donna lasciando solo una finestrella a rete davanti agli occhi per intravedere il mondo esterno. Può essere di colori molto accessi: verde, azzurro, arancio. Il termine deriva dal verbo arabo barqa’a: ‘velare’.


    fonte: click!

    image
    per altre immagini su hijab-chador-burka-niqab visitate la minigallery che ho raccolto - clicca QUI!:

    ho ancora altri articoli da postare.....bokra...Inshallah! :invis:
     
    .
  2. shenuda
        Like  
     
    .

    User deleted


    bellissimo qs post..hai superato te stessa brava ,bravissima :D
     
    .
1 replies since 19/11/2008, 22:44   2371 views
  Share  
.