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  1. kiccasinai
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    .....Perchè c'è una risposta a tutto....

    “Senza pace” - Un secolo di conflitti in Medio Oriente

    di David Hirst

    Hirst, ex corrispondente del prestigioso quotidiano inglese The Guardian per il Medioriente, percorre gli avvenimenti occorsi dal 1880 ad oggi, per dimostrare come la violenza araba, sebbene spesso crudele e fanatica, sia una risposta alla continua provocazione di una reiterata aggressione.

    Tra i tanti temi sottoposti alla profonda analisi di Hirst vi sono: il processo di Pace di Oslo, l'occupazione israeliana della West Bank e di Gaza, l'effetto destabilizzante degli insediamenti ebraici nei territori, la seconda Intifada e l'aumento spaventoso di attacchi sucidi, il crescente potere della lobby di Israele - fondamentalisti ebraici e cristiani - negli Stati Uniti, l'aumento del dissenso interno a Israele e tra la popolazione israelo-americana, la partita tra Sharon e Arafat e lo spettro della catastrofe nucleare che minaccia di distruggere l'intera regione.

    "David Hirst, da sempre partecipe alla tragedia palestinese, e' un giornalista di primissimo livello che ha dedicato la sua esistenza a vivere all'interno del mondo arabo e a scrivere di esso" - Edward Said

    Edited by kiccasinai - 14/2/2008, 01:40
     
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  2. kiccasinai
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    Libro. Figlie dell'Islam



    In breve
    Come è possibile la democrazia nel mondo arabo-musulmano, se metà della popolazione - quella femminile - è emarginata e oppressa? Per questo le donne che si battono per i loro diritti sono il fermento essenziale per far progredire la modernità in un Islam che cambia, e sostenere la loro lotta, secondo l'autrice, è il modo più efficace per "esportare la democrazia". Per questo Lilli Gruber ha deciso di andare alla scoperta del "femminismo islamico". Il suo viaggio parte dalla penisola arabica, culla dell'Islam ma anche dell'interpretazione del Corano, e la conduce in Egitto, Turchia, Marocco, Qatar.


    Il libro image

    Figlie dell'Islam
    Mille e una donna


    Quando Sherazade apre la porta della stanza in cui l’aspetta il suo sposo, le possibilità di uscirne viva sono praticamente nulle. Re Shariar, disteso sul talamo, ha già ucciso migliaia di giovani vergini, sacrificate alla sua rabbia. Per la ragazza, figlia del visir, molto versata nelle lettere, la poesia, la storia e la religione, è impossibile sottrarsi alla sfida: è una questione di vita o di morte. Non solo per lei, offerta come vittima a un mostro spietato, ma anche per il vasto regno, dissanguato da un despota mosso da follia omicida. Quando la fanciulla entra nell’harem, il sovrano è preda di un’insaziabile sete di vendetta. La prima moglie lo ha tradito nel modo più ingiurioso, concedendosi a uno schiavo nero. E così facendo ha messo in discussione la solidità del simbolo dell’autorità maschile, l’harem: le alte mura non hanno saputo tener fuori la sua dissolutezza. Al contrario, ne hanno ospitato le perversioni.
    La donna è stata messa a morte, ma l’affronto subìto non può essere cancellato con una sola esecuzione. Tutte le donne sono malvagie e infide, e devono pagare. Shariar ha ordinato dunque al visir di condurgli ogni giorno una nuova vergine, da sposare e violentare, prima di farla giustiziare dal boia. Il massacro ha avuto inizio. Dopo diversi anni nel regno sono rimaste solo due possibili vittime: Sherazade e la sorella, le due figlie del visir che ha fatto di tutto per proteggerle dalla follia sanguinaria del sovrano. È in quel momento che Sherazade prende in mano il suo destino: si offre volontaria, certa di poter mettere fine all’ecatombe.

    E dal suo ingresso in quella stanza, invece di sottomettersi ai capricci sessuali del suo signore e rassegnarsi a una morte certa, lo terrà con il fiato sospeso grazie al solo potere delle parole. Nonostante l’angoscia di un’esecuzione sempre incombente, con incredibile sangue freddo inventa ogni notte una nuova storia, in cui mescola immaginazione, saggezza e sensualità. Alla fine riuscirà a fargli cambiare idea: quell’uomo accecato dall’ira ammetterà che colpire le donne per cancellare il ricordo dell’umiliazione è un segno di debolezza.
    Come spiega la straordinaria scrittrice marocchina Fatima Mernissi, studiosa dell’Islam, «Il despota riconosce che il lungo dialogo iniziato con la moglie ha cambiato la sua concezione del mondo». E aggiunge: «Le Mille e una notte cantano il trionfo della ragione sulla violenza».

    Sherazade è nata in Persia, ma è cresciuta per le vie di Baghdad, la capitale dell’Impero abbaside che avrebbe regnato sul mondo islamico fino al XIII secolo. È sbocciata dall’immaginazione dei narratori di strada, che l’hanno fatta combattere per mille e una notte contro la brutalità del marito. Le sue avventure hanno incantato i frequentatori dei mercati, i viaggiatori dei caravanserragli e i clienti degli hammam. Alimentata dalla fantasia dei poeti, ha vissuto per secoli grazie al racconto orale, libera e leggera come le sue parole. Entrerà nelle biblioteche solo nel 1704 grazie a un francese, Antoine Galland, che scriverà la sua storia per il pubblico europeo. E si presenterà ai fratelli e alle sorelle arabi nel 1814, per la prima volta in un testo scritto nella loro lingua.
    L’eroina ha attraversato i secoli senza nemmeno una ruga, e la lezione che impartisce a chi ancora la ascolta è sempre attuale.
    Sono andata alla ricerca delle sue figlie spirituali nel complesso universo dell’Islam, di quelle donne che rifiutano di essere sopraffatte e si battono per i propri diritti. Sono tantissime e come la loro lontana antenata hanno deciso di prendere in mano la propria storia. Nei miei viaggi mi hanno raccontato chi sono, cosa fanno, cosa vogliono e in cosa credono.
    Ho voluto conoscerle per capirle e apprezzarne il coraggio, per misurare le nostre diversità ma anche scoprire le molte affinità che ci uniscono. Rivendicando il loro diritto di esistere nello spazio pubblico, affermano la loro identità in un mondo che le vuole ignorare. Difendendo la propria individualità, rendono omaggio al Dio creatore della differenza originaria, verso il quale si rivolgono per pregare. Sono loro il vero motore del cambiamento nel vasto pianeta musulmano, in tutto quasi 1.300.000.000 di persone.
    Per opporsi alla tirannia maschile molte oggi stanno affilando, come Sherazade, l’arma delle parole. Leila Ahmed, Shirin Ebadi, Amina Wadud, Margot Badran e tante altre: le «femministe islamiche». Rivendicano un ruolo attivo per le donne nella società, ma all’interno della cornice dell’Islam, che per più di un millennio gli uomini hanno usato per legittimare il proprio dominio. L’interpretazione che nei secoli hanno dato delle parole e delle gesta del Profeta è servita a relegare l’altra metà del cielo nel focolare domestico, senza diritti e senza voce. Dai tempi della Rivelazione nel VII secolo le condizioni sociali, economiche e giuridiche sono però molto cambiate e se i testi sacri devono restare fonte della legge, sostengono le «femministe», occorre rileggerli alla luce dei tempi nuovi. Tra i loro modelli ci sono la prima moglie di Maometto, Khadija, esperta donna d’affari e la più giovane, Aisha, che insegnava agli uomini la nuova religione e combatteva a fianco del Profeta. O altre come Fatima, l’adorata figlia e Umm Waraqa, designata come guida spirituale della Umma, la comunità dei credenti musulmani.
    Un’altra interpretazione dell’Islam è dunque possibile. E infatti in Stati diversi sono state date letture diverse, anche opposte, dei suoi princìpi fondamentali. In ognuno, la condizione delle donne cambia: in Marocco, Algeria o Tunisia è molto differente rispetto all’Arabia Saudita, allo Yemen e agli Stati del Golfo. Il Pakistan ha avuto persino un primo ministro donna, e in Iran il presidente liberale Khatami aveva nominato una vicepresidente. Per non parlare della legione di donne d’affari musulmane, una realtà moderna che però si affianca a usanze arcaiche come i matrimoni forzati delle bambine, i delitti d’onore, la mutilazione genitale e la segregazione sessuale.
    Ma la Sharia, la legge islamica codificata da secoli in favore dei maschi, presto lavorerà in favore delle donne per una società più egualitaria, assicurano le giuriste che si stanno formando nelle università dove si studia il Corano. Il loro raffinato lavoro di esegesi si concentra naturalmente soprattutto su alcune aree del diritto, non a caso sempre utilizzate per additare l’Islam come religione oppressiva e retrograda: le donne devono sempre obbedire; ereditano la metà rispetto a un uomo; la loro testimonianza in tribunale conta la metà; nel divorzio e nell' affidamento dei figli sono discriminate. In questi campi gli abusi avvelenano la vita quotidiana ed è qui che le «femministe» conducono una sofisticata battaglia filologica, versetto per versetto, per contrastare le interpretazioni più maschiliste e volgere i passaggi ambigui a proprio favore. L’impresa non è facile: l’arabo, in cui è scritto il Corano, non è la lingua madre per molte musulmane ed è molto complesso e ricco di sfumature.
    Per esempio: è vero che secondo il Libro sacro il marito può picchiare la moglie? In realtà, il termine idribuhunna, che nella sura 4, versetto 34, indica l’ultimo stadio del diverbio coniugale, potrebbe significare sia «picchiare» sia «allontanare». Basterebbe adottare quest’ultima lettura per offrire più tutela alle vittime dalle violenze in famiglia.
    Oggi le «femministe» invitano le «sorelle» a uscire da secoli di ignoranza del Corano e riscoprirlo come mezzo di emancipazione. Il messaggio di uguaglianza del Profeta, che garantisce loro diritti e libertà, è diventato l’arma principale della loro offensiva. Vogliono cambiare con l’Islam, non contro l’Islam.
    La sura 9, versetto 71, sancisce l’alleanza tra uomini e donne anche nel campo delle decisioni pubbliche: «Ma i credenti e le credenti sono l’uno l’altro amici e fratelli, invitano ad atti lodevoli e gli atti biasimevoli sconsigliano, e compiono la Preghiera e pagano la Decima e obbediscono a Dio e al Suo Messaggero». Anche secondo l’ultimo rapporto dell’Undp, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo, il problema non è la religione musulmana ma l’immobilismo politico, le guerre e la dominazione maschile. «L’ascesa delle donne è il requisito fondamentale per un nuovo Rinascimento arabo» conclude il rapporto. Il futuro, anche economico, è nelle loro mani: non si può pensare di creare progresso e ricchezza escludendo dai processi politici e produttivi metà della società.
    E oggi, da sole o in gruppo, organizzate o spontanee, povere o ricche, le donne hanno cominciato una nuova battaglia, una «nuova jihad». Parola usata e abusata, sempre più spesso sinonimo solo di violenza e fanatismo branditi in nome della religione. Ma nei testi sacri islamici il suo significato è molto chiaro: lotta contro l’oppressione, guerra di liberazione, riconosciuta dal Corano come un dovere per ogni buon musulmano. E, cosa ancora più importante, eccezionale sforzo di perfezionamento individuale, per la conquista del sapere, per la rettitudine morale e il ritorno alla spiritualità.
    È questa jihad rosa, declinata al femminile, che voglio raccontare, attraverso le testimonianze delle «figlie dell’Islam» che la combattono. Si tratta di una campagna pacifica, dove le nuove Sherazade avanzano a mani nude, armate di determinazione, valore e intelligenza. La conducono per se stesse, ma dal suo risultato dipenderà la natura del mondo in cui vivremo.



    L' Autore:
    Lilli Gruber è nata a Bolzano da una famiglia di imprenditori. Durante il fascismo la sorella della nonna materna fu inviata al confino e il padre, Alfred, fu insegnante clandestino nelle cosiddette “Katakomben-Schulen”. Lilli è sposata con Jacques Charmelot. Pratica il canottaggio e lo sci, ha studiato per otto anni danza e pianoforte. Educata a Verona presso le Piccole Figlie di San Giuseppe, dopo gli studi al liceo linguistico Marcelline di Bolzano e alla facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università di Venezia, torna in Alto Adige-Sudtirolo.

    Svolge il praticantato giornalistico nell'allora unica televisione privata dell'Alto Adige, “Telebolzano”, e scrive per i quotidiani “L'Adige” e “Alto Adige”. Dopo due anni di collaborazione con la Rai in lingua tedesca, nell'84 viene assunta al Tg3 Regionale del Trentino-Alto Adige e in seguito viene chiamata dal direttore del Tg2 Antonio Ghirelli a condurre il telegiornale della Mezzasera e della Notte, inquadrata nella redazione di politica estera. Nel 1987 il nuovo direttore del Tg2, Alberto La Volpe decide di promuoverla alla conduzione del Telegiornale delle 19.45. Lilli Gruber diventa così la prima donna in Italia a condurre un tg di prima serata.

    Nell'88 comincia anche il lavoro di inviata di politica internazionale, prima in Austria con lo scandalo Waldheim, l'anno dopo in Germania dell'Est dove racconterà il crollo del Muro di Berlino. Su questa esperienza e sui 40 anni della DDR scriverà un libro per la Rai-Eri insieme a Paolo Borella dal titolo “Quei giorni a Berlino” (Nuova Eri). Nel 1990 viene chiamata da Bruno Vespa al Tg1, dove per due anni segue gli eventi più importanti di politica estera: dalla guerra del Golfo al crollo dell'Unione Sovietica, dal conflitto israelo-palestinese alla Conferenza di pace per il Medioriente, alla vittoria di Bill Clinton alle presidenziali del 1992.

    Nel '93 vince la prestigiosa borsa di studio della University of Chicago, la “William Benton Felloship for Broadcasting Journalists”.

    Nel 1994, dopo il talk-show politico “Al voto, Al voto”, passa alla conduzione del Tg1 delle 20.00. Continuerà a lavorare come inviata all'estero e a condurre gli Speciali sulla politica internazionale e i viaggi del Papa, che segue nel 2000 in Terra Santa e in Siria. Tra gli eventi seguiti, oltre ai ripetuti viaggi in Medioriente (Siria, Libano, Israele, Giordania, Iraq): la guerra nella ex-Jugoslavia, i test nucleari francesi a Mururoa nel Pacifico, le elezioni parlamentari e presidenziali in Iran, gli attacchi terroristici alle Torri Gemelle e al Pentagono dell'11 settembre 2001 e l'anniversario della tragedia nel 2002, la crisi irachena e la guerra contro l'Iraq. Resta a Baghdad per tre mesi. Su quell'esperienza nell'ottobre 2003 pubblica il libro “I miei giorni a Baghdad”, edito da Rizzoli, che diventa un best-seller di oltre 100mila copie. Torna in Iraq per il primo anniversario della guerra.

    All'estero, Lilli Gruber lavora nell'88 per la Tv tedesca pubblica SWF dove conduce un talk-show mensile sull'Europa e nel 1996 quando lancia, conduce e co-produce da Monaco di Baviera il settimanale “Focus Tv” su Pro 7, televisione del gruppo Kirch. Nel '99 realizza per “60 Minutes” della statunitense CBS un'intervista-ritratto con Sophia Loren. Oltre al tedesco, parla inglese e francese.

    Nei primi mesi del 2002 viene invitata come “visiting scholar” a Washington al SAIS (School of Advanced International Studies) della Johns Hopkins University. Segue soprattutto i corsi sul terrorismo internazionale e tiene alcune lezioni sulla politica italiana. Da due anni viene invitata come “discussion leader” al World Economic Forum di Davos. Nel maggio 2004 le viene conferita la Laurea Honoris Causa della American University di Roma. Dal 1998 collabora con il quotidiano “La Stampa”, e per due anni è autrice della rubrica di politica internazionale “Punti di vista” sul settimanale del “Corriere della Sera , “Io Donna”. Collabora saltuariamente per “Tv Sorrisi e Canzoni” e per “Anna”, sempre sui temi della politica estera.

    Nel giugno 2004 viene eletta al Parlamento Europeo nella Circoscrizione Italia Centrale in qualità di capolista di Uniti nell'Ulivo.
    E' Membro della Commissioni Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni e della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo.
    E' Presidente della Delegazione degli Stati del Golfo del Parlamento Europeo.


    Titolo: Figlie dell'Islam
    Autore: Lilli Gruber
    Dati: 2007, 360 p., rilegato
    Rizzoli (collana Saggi italiani)

     
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1 replies since 24/9/2005, 19:17   852 views
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